Come ci sentiremmo, se un giorno, un qualsiasi giorno, nostro figlio, nostro fratello, un nostro caro amico venisse ammazzato da una pattuglia di carabinieri ???? Nel corso di un controllo ?
E dover lottare contro tutto e tutti, beffa delle beffe, per far emergere la verità senza ancora riuscirci pienamente, in virtù di depistamenti, di collusioni, di cameratismo?
“Federico “Aldro” Aldrovandi è nato a Ferrara e ha diciotto anni. Va a scuola, dedica la sua attenzione a mille interessi diversi, ama uscire con gli amici, ballare e come moltissimi suoi coetanei (e non), esplora i territori della percezione assumendo, di tanto in tanto, sostanze eccitanti e fumo.
Per questo è bene dichiararlo subito: pensare che quello che è successo ad Aldro sia il minimo che possa capitare a un “tossico” è un’infamia. Al contrario capire come la sorte di Aldro possa essere incontrata da chiunque non risulti allineato – magari solo per una porzione limitata di tempo – all’immagine del “bravo cittadino” tutto casa, chiesa e tasso alcolico nullo nel sangue alla prova dell’etilometro, apre ferite mai rimarginate, riportando all’ordine del giorno il problema di capire di cosa parlano la stampa e la questura quando presentano la morte di un diciottenne come Federico sostenendo che la morte del ragazzo deve essere imputata alla sua condotta rissosa e comunque considerata una “tragica fatalità” (dal libro “Cuori rossi” di C. Armati).
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